Dei cari amici mi hanno fatto riflettere su quanto sia innovativo e quindi forse poco immediato, il workshop che sto lanciando.

La prima domanda che mi hanno posto è la seguente: “quindi cosa si fa? Che c’entra la colazione consapevole con la fotografia?!!”

Le domande sono corrette ma è necessario fare qualche passo indietro. A chi si rivolge questo workshop di due giorni?

Per rispondere a questa semplice domanda però bisogna fare ancora qualche passo indietro: chi oggi si mette al collo una macchina fotografica che nel caso migliore pesa 10 volte più del telefonino che portate in tasca? Togliendo i narcisi che vogliono mostrare la loro potenza muscolare, ci dobbiamo domandare quali siano le aspirazioni di chi fotografa oggi non come lavoro ma come passione?


La risposta più immediata, è quella di creare belle immagini. Ma per fare ciò la via migliore e più breve - ve lo assicuro - è quella di affidarsi all’intelligenza degli Smart phone.


La risposta altrettanto semplice ma questa volta vera è: per passione.

La Passione.

E allora perché un appassionato (si rivolge agli appassionati il workshop) dovrebbe fare questo corso?


Perché oggi la maggior parte dei gesti sono automatici e non consapevoli: dal selfie al caffè che si beve appena alzati. Dalla fotografia ad un figlio all’andare dalla casa all’ufficio.


Ma, ogni gesto automatico che compiamo ogni giorno nel suo essere automatico non è gratificante. Anzi alla lunga annoia ed è fonte di stress  

E la passione invece deve essere sentita e non subita  

Per questo molto appassionati della fotografia si sentono frustrati. Non perché facciano brutte fotografie (beh, anche a volte!), non perché non abbiano l’ultimo corpo macchina più performante o l’obiettivo più luminoso. Ma perché la loro passione è così distratta dal non essere vera passione.


Si fa l’amore con passione e anche scattare una foto per passione (non solo per lavoro) deve essere (e può essere) gratificante.


Deve permetterti di poter dire, sono qui adesso. E mi piace tanto. Sto godendo. Ma come si fa? Come si impara ad essere realmente presente quando si scatta una fotografia com/passione.


Quindi la risposta principale al cosa faremo in questo workshop è impareremo a godere, avere una vera e profonda passione.

Il piacere quasi carnale che ti può dare quell’istante nel quale il modello per puro caso guarda un punto nello spazio e noi scattiamo l’immagine perfetta.

Perché noi eravamo la con tutti noi stessi.


Per fare tutto ciò, che in fin dei conti si chiama fotografia ma si chiama anche poesia, impareremo a mangiare la colazione con tutti i sensi. Impareremo a respirare sentendo il nostro respiro (e vien da se quello del nostro modello), impareremo a confidare nell’altro ad occhi chiusi. Solo in questa “confidenza” anche breve ma delineata, precisa, non artificiale, ricca, silenziosa, potremo sentire i sentimenti di chi vogliamo ritrarre e provare a restituire agli altri un po’ della nostra visione appassionata.

Il senso.

Ma la “passione” non basta. Le cose si fanno per e con passione ma quasi mai (nella fotografia come nella vita) la passione è sufficiente.

Bisogna dare “un senso”. Ovvero rendere quello che si fa coerente, rigoroso, aderente ad un pensiero (non c’è pensiero giusto o sbagliato, fotografia giusta o sbagliata a priori, esistono fotografie con un senso - poche - e senza senso - moltissime).

Il “senso” è dato dalla volontà. E la volontarietà di uno scatto fotografico non è dato (solamente) dalla sua perfezione tecnica o formale ma dal rigore concettuale che si applica nel realizzarla (sia essa scattata con un telefonino o in uno studio con 20.000 euro di attrezzatura).

Il “senso” lo riesce a dare il fotografo che ha sviluppato un suo modo personale e coerente di “vedere”. Per questo quello che impareremo durante il workshop dovrà essere applicato un po’ ogni giorno. Guardando in modo consapevole il mondo che ci circonda. Imparando la capacità di scremare e isolare, nella miriade di segnali visivi, sonori, olfattivi, tattili, gustativi, ciò che è essenziale nel momento dello scatto. Non è un caso che la fotografia sia un metodo per “fermare il tempo”. Un istante preciso nel quale tutto, proprio tutto si ferma. Wow, che potere che si ha sulla punta di un dito!


Detto tutto questo, sorge una nuova domanda, ma si fotografa?! Oppure si fa filosofia? Ovviamente si fotografa!

Lo scatto.

In sessioni individuali insieme al docente e al modello/a. Vi guiderò nel cercare il vostro personalissimo modo di “vedere”, appunto per creare “senso”.

Imparare a vedere. 

Anni fa mi accorsi anche grazie agli insegnamenti di altri fotografi, che nonostante avessi gli occhi aperti, in realtà ero fondamentalmente “cieco”, ovvero nella miriade di segnali che mi arrivavano dall’esterno io non riuscivo a vedere. E non riuscivo quindi a guidare il soggetto. Sviluppare il proprio modello personale di visione, la propria capacità di dare “senso” è una missione lunga ma una volta intrapresa il percorso per arrivarci - e quindi compresa la differenza tra uno scatto fotografico “casuale” ed uno consapevole, difficilmente si faranno gli stessi errori.

Controllo.

Si scatterà in uno studio. In una situazione controllata e definita, provando diversi schemi di illuminazione classici. In questa fase di apprendimento infatti è necessario che gli stimoli esterni siano minori. Ci sia più “silenzio” e che i sensi siano più naturalmente “attenti” al momento che si sta vivendo.

La scelta.

La fase di scelta degli scatti è una fase altrettanto importante. Molto spesso non è solo nella fase di scatto che si riesce totalmente a “unire i puntini” di quello che si vuole raccontare, ma questo “sens si perfeziona nelle fasi successive di scelta delle immagini (ad esempio nella creazione di un portfolio). Qui impareremo che anche un fotografo professionista ha bisogno di un confronto/scontro con un soggetto esterno (ad esempio il photo editor di un magazine).

La camera oscura digitale.

Nella fase di post produzione verranno illustrate tre tecniche fondamentali. E vi seguirò nella loro applicazione. Con lo spirito della camera oscura - prima del digitale (evoluzione straordinaria della fotografia - non sono un “passatista”) una cosa era più evidente: la luce produceva sul negativo il nero, e la mancanza di essa lasciava la pellicola trasparente. Di fronte ad un negativo il nostro cervello non poteva non mettersi in funzione, non foss’altro per questo semplice ribaltamento/inversione dei toni. Per questo anche in fase di post produzione l’accento sarà posto sul senso delle azioni di correzione e post produzione delle immagini.

La meditazione.

Ogni fase fotografica sarà intervallata da momenti più propriamente meditativi e di gioco relazionale (imparare ad affidarsi ad esempio ad occhi bendati, scoprire gli oggetti in modo tattile o utilizzando i sensi che non siano la vista, ecc.).

Curiosi?

Se vi ho abbastanza incuriosito, vi aspetto con affetto.

Questo è quello che chiamo rispettosamente mindful portrait photography.

”Massimo, photography is the art of seeing, not the art of showing”  

Win Wenders  

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